Foto di Simona Marsella, relitto di nave a Cap Blanc

Ti avevo lasciato dopo aver varcato il confine mauritano.

Siamo con Ahmed, la nostra guida locale, e con lui avanziamo in questo paese, dove la lingua più diffusa oltre all’arabo è ancora il francese.

Siamo al confine tra il mondo arabo e l’Africa nera.

Raggiungiamo in breve tempo Nouadhibou, la seconda città più grande della Mauritania con i suoi circa 90 mila abitanti.

In realtà non sembra essere in città: c’è una sola strada principale asfaltata ai cui lati scorrono muli, capre e carretti.

Tutto il resto è un fondo sabbioso, in cui devi cercare di non rimanere intrappolato con l’automobile mentre in un caldo torrido bambini noncuranti di ciò che accade intorno a loro rincorrono felici un pallone.

Qui si vive di pesca e di ferro: sì, hai capito bene, l’attività principale è la lavorazione del ferro che viene trasportato da un lunghissimo treno, il treno più lungo del mondo con i suoi 2,5 km di lunghezza massima.

Riusciamo anche a vederlo passare con il suo andamento lento e sbuffante.

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Su consiglio di Ahmed troviamo un hotel decente dove lasciamo le nostre cose (hotel Tires, addirittura con wifi) e sfruttando la sua presenza ci concediamo un pomeriggio da turisti, perché il Dogon Challenge non è solo rally.

Passiamo davanti al cimitero delle navi, per poi dirigerci verso la Riserva Naturale di Cap Blanc: se vuoi andare a visitarla fatti accompagnare da qualcuno perché è difficile da trovare.

E’ possibile raggiungerla solo attraverso una pista di sabbia e pietre lunga circa 10 km senza alcuna indicazione.

Per entrare paghiamo un pedaggio a una specie di guardia-parco presente alla sbarra di ingresso.

Davanti a noi si snoda una stupenda costa frastagliata che si immerge in un mare azzurro mozzafiato, sorvolato da aironi e diverse altre specie di uccelli.

Il paesaggio è dominato dal relitto di una grande nave rimasta incagliata chissà quanti anni fa (vedi foto a inizio articolo), oggi controllata da un guardiano: sembra di essere in un film di pirati.

Purtroppo non riusciamo a scorgere nessuno degli esemplari di foca monaca che Ahmed ci dice essere presenti in questa zona, ma siamo in pieno giorno e probabilmente saranno in acqua a sfamarsi.

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Foto di Simona Marsella, la WackMobile nel deserto mauritano

Lasciata Nouadhibou ci dirigiamo verso Nouakchott, che dista circa 450 km.

Se devi percorrere questo tratto di strada fai il pieno al serbatoio e se non è sufficiente riempi anche una tanica: vi è un unico rifornimento e spesso, come è accaduto a noi, è sprovvisto di carburante.

La strada corre in mezzo al deserto e nel complesso non è poi così male: vi sono dei tratti dissestati, a volte segnalati a volte no, ma l’importante è guidare con prudenza e attenzione.

A parte la stazione di servizio circa a metà percorso dove c’è un piccolo bazar per acquistare acqua e viveri, non si incontra nessun centro abitato ma solo qualche mandria di dromedari, a volte accompagnati da pittoreschi pastori.

Il silenzio e la pace di questi chilometri entra in forte contrasto con la situazione che ci accoglie non appena entrati in città.

Nouakchott è caos puro, ma a differenza di Marrakech non è un traffico urbano ma una bolgia infernale sotto un caldo bestiale.

Le strade sono intasate da asini, capre e macchine che spuntano ovunque e per questo, oltre al mal di stomaco causato da un latte macchiato consumato in mezzo al deserto, cedo immediatamente la guida.

Ci perdiamo tra le strade di questa bizzarra capitale, la più strana che abbia mai visto in vita mia,  alla ricerca di una banca, che tra l’altro la maggior parte delle persone a cui chiediamo indicazioni non sa nemmeno cosa sia.

Nel nostro girovagare, prima di raggiungere la parte ricca della città, quella popolata da ambasciate, hotel e qualche negozio in stile occidentale, passiamo anche nel mezzo del mercato.


Foto di Simona Marsella, scene in città

Girando non si possono fare a meno di notare le cattive condizioni in cui versa questo paese: oltre alla mancanza dell’acqua potabile, quello che risalta è la povertà, l’inquinamento causato dai rifiuti, e l’assenza totale di infrastrutture.

Sicuramente questa non è la parte turisticamente più affascinante della Mauritania e per questo motivo decidiamo di fermarci giusto il tempo di pranzare per poi rimetterci in marcia e avvicinarci il più possibile al Senegal prima che faccia buio, prossima meta del nostro avventuroso viaggio.

Mangiamo  in una specie di tavola calda locale: piatto tipico è il riso e pollo con patatine.

Anche qui come nella maggior parte dei locali in cui ci siamo fermati non hanno acqua in bottiglia, ma per noi “stranieri” escono a comprarla in qualche altre negozio.

Consumiamo velocemente il nostro pasto mentre gli altri commensali osservano interessati una partita di calcio in tv.

Tutto il mondo è paese.

Simona