Foto tratta dal sito ufficiale ITB

Foto tratta dal sito ufficiale ITB

 

“New kids on the blog”: lo slogan ricorda tanto una boy band degli ormai lontani anni ’80 (te la ricordi?) ma in questo caso i “nuovi ragazzi del quartiere” altro non sono che le destinazioni turistiche.

Come possono fare ad avere successo nella blogosfera?

Se ne è parlato in un dibattito molto interessante andato in scena di recente a Berlino, in un’occasione tra le più importanti per chi bazzica il mondo del turismo professionale.

La location era infatti Itb, la Borsa internazionale del turismo di Berlino nonché fiera più importante del settore in Europa e, come tale, sempre sul pezzo quando si tratta di anticipare le nuove tendenze.

Quest’anno è toccato allo “sdoganamento” assoluto dei blogger in qualità di protagonisti della scena: per loro un programma dedicato di incontri e dibattiti tra cui, appunto, “New kids on the blog”.

La questione è attuale nonché spinosa: i travel blog stanno diventando sempre più popolari e sempre più ricercati come fonti di informazione per chi desidera organizzare una vacanza o semplicemente non può fare a meno di curiosare tra i racconti di viaggio.

La differenza fondamentale rispetto ai giornalisti?

Sono indipendenti, non scrivono per accontentare un editore o peggio un inserzionista, sono quindi autentici e, dunque, degni di fiducia.

O quanto meno questa è la percezione della gente, che ha iniziato a seguirli in massa.

Naturalmente, ciò non è sfuggito agli esperti di comunicazione e di marketing che hanno iniziato a coinvolgere anche i blogger nelle loro iniziative di promozione.

E’ giusto?

O c’è in ballo una sorta di “tradimento” dei lettori?

Come spesso accade nelle cose, è questione di trovare il giusto equilibrio.

A Berlino ne hanno parlato due travel blogger blasonati.

Conosci Velvetescape?

Il suo autore è Keith Jenkins, anni “trenta e qualcosa” (lo dice lui), segni particolari: incarnazione della bella incoscienza che ad un certo punto ti fa dire “mollo tutto e me ne vado”.

Lui l’ha fatto, nel 2008: “avevo una carriera nell’investment banking, ad un certo punto l’ho mollata ed ho iniziato a viaggiare e scrivere. E quando mi si è presentata una nuova occasione di lavoro in banca, non ho avuto dubbi, ho scelto di fare il blogger, perché mi fa stare bene”.

Travelettes si chiama invece il travel blog – dal sottotitolo che è tutto un programma: backpacking in heels! – fondato dalla fotografa Katja Hentschel, che però, capito che non ce l’avrebbe potuta fare da sola, ha lanciato il sasso nel mare magnum del web e raccolto altre nove blogger coi tacchi in tutto il mondo.

Ci si è chiesti: hanno ancora valore di autenticità i racconti di un travel blogger “assoldato” da un ente di promozione?

Lo posso avere, “perché ognuno di noi blogger ha soprattutto una sola grande responsabilità – ha detto Katja -: essere onesti verso i propri lettori”.

E se proprio si entra in un conflitto etico tra il proprio io di blogger e la necessità – più che legittima – di arrivare a fine mese?

Una buona soluzione è quella di scrivere anche per i corporate blog delle destinazioni o degli operatori: possiamo guadagnarci senza rischiare di perdere autenticità agli occhi dei lettori accettando di essere pagati per viaggiare e testare dei servizi”.

D’altronde, la forza “pubblicitaria” spontanea dei blogger più seguiti (e di quelli più bravi ad usare abilmente Facebook, Twitter & co) è impressionante.

Lo racconta Keith:
Sapete cosa mi è capitato poco tempo fa? Avevo postato su TwitPic una foto di un viaggio in Lapponia. Ha avuto 2.200 view, ma soprattutto il tour operator con il quale avevo viaggiato – e che non avevo neanche nominato nel mio blog! – ha ricevuto quattro prenotazioni.
Come è possibile?
Ai lettori la foto è piaciuta, hanno cercato in google da chi comprare un viaggio in quella location, ed ecco qui.
Conversione diretta con una sola foto!”.

Ovvio dunque che le destinazioni turistiche hanno ormai iniziato a corteggiare platealmente i travel blogger, anche perché questi offrono un reportage “lungo” in un colpo solo:

Creano l’interesse già prima del viaggio, non parliamo poi dei post scritti in corso d’opera, e dei resoconti una volta tornati alla base”.

Ma non si tratta solo di biechi calcoli commerciali.

Prendiamo il caso della Giordania, Paese bellissimo che però pur non essendo stato coinvolto dai disordini della Primavera Araba ne aveva subito le conseguenze, come danni di immagine e calo dei turisti.

Ecco dunque il progetto imbassador: otto blogger – tra i quali lo stesso Keith Jenkins –  sono stati chiamati a visitare il Regno Hashemita ed hanno pubblicato la loro esperienza su blog e social media.

Ha funzionato?

Aspettiamo di vedere le prossime statistiche.

Articolo di
Mariangela Traficante