Il Sudafrica è

Il Sudafrica è “nelle mani di Mandela” – Foto di Silvia Balcarini

 

La visita di questo museo è imprescindibile.

Che Johannesburg sia la tua città di arrivo, di partenza o solamente uno scalo prenditi il tempo per visitarlo.

Se la tua meta è l’Africa meridionale non sarà un viaggio completo se non visiterai questo museo.

Necessarie 2 ore minimo per la visita.

Fuori i pilastri, veri, della Costituzione: Democrazia, Equità, Riconciliazione, Diversità, Responsabilità, Rispetto, Libertà.

All’entrata vieni classificato, a caso, “Bianco” e “Non bianco” da qui il percorso che farai sarà diverso, in base alla tua razza (all’interno poi si ricongiunge).

Idea semplice, quasi banale, ma l’impatto è molto più forte di quanto tu possa immaginare.

Il museo del 2002 è moderno sia nel design che nell’approccio utilizzando il cemento, il colore grigio, il filo spinato dona un valore aggiunto alla ricostruzione.

Presenti i filmati, i testi, i racconti dei protagonisti, le grandi fotografie che non narrano solamente i fatti ma ne delineano i sentimenti, la quotidianità.

I dettagli esposti in maniera semplice e diretta sono per tutti.

La brochure del museo

La brochure del museo – Foto di Silvia Balcarini

 

Uno tra tanti, il test della penna per attribuire le razze che per inciso erano 3: bianchi, neri e colored.

La polizia metteva tra i capelli una penna se questa non cadeva facevi parte dei neri.

Numerose le persone che sono passate da neri a colored, cambiando il cognome, ripetendo il test o corrompendo i poliziotti.

D’altro canto numerose persone considerate attiviste politiche venivano riclassificate in neri.

Pur appartenendo alla razza sbagliata, far parte dei colored (mulatti) e non dei neri significava avere meno restrizioni umane.

Lo spazio espositivo da un immediato spaccato dell’Apartheid: le leggi, i soprusi, le torture, gli assassini.

L’inizio della lotta, pacifica e armata, l’arrivo di Nelson Mandela dopo 27 anni di prigione, e ancora lotte e morti.

La svolta negli anni ’80 con l’intervento della comunità internazionale.

Un viaggio sensoriale, una reale empatia con chi poteva uscire dal ghetto solo per motivi lavorativi, non poteva stare seduto sulle panchine e sugli autobus, non aveva accesso alle strutture e a luoghi pubblici senza autorizzazione.

Il nuovo governo di Mandela si è speso per evitare qualsiasi forma di vendetta; non solo quella tra bianchi e neri ma tra gli stessi neri di etnia diversa.

Anzi, nel 1995 ha istituito la “Commissione per la verità e la RICONCILIAZIONE” con l’obiettivo di promuovere la riconciliazione e il perdono tra gli autori e le vittime dell’Apartheid donando addirittura l’amnistia a chi avesse confessato la propria colpevolezza.

E ci è riuscito.

Il popolo adesso non più oppresso dall’Apartheid si porta ancora inevitabilmente sulle spalle la povertà, la bassa scolarizzazione e la mancanza di professionalità lavorativa: la strada da percorrere è ancora tanta.

Vivo è il ricordo di un’altra immagine semplice del museo.
All’esterno si passeggia in un tratto di strada, molte le foto a grandezza naturale di persone, vecchi, bambini, bianchi, neri, colored; un giorno qualsiasi con gente qualsiasi che cammina incurante dell’aspetto degli uni e degli altri.
Per un attimo penso a quanto, in questo caso, l’indifferenza possa assumere una connotazione positiva.

Facendo un po’ di conti… dal 1600 in poi i sudafricani sono stati soggiogati dalla colonizzazione: portoghesi, olandesi, inglesi.

Man mano niente terre, niente diritto di voto.

Nel 1948 nasce il regime dell’Apartheid che lo si può considerare “finito” nel 1996 alla nascita della nuova Costituzione.

Solo 17 anni fa.

Quasi 400 anni di discriminazione, sopraffazione, ghettizzazione, violenza.

Se è vero che un uomo è ciò che vive e ciò che vede, io sudafricana come sarei?

Articolo di
Silvia Balcarini