Una rara esplosione di colore a Lahic

Una rara esplosione di colore a Lahic – Foto di Cristiano Guidetti

 

“Ecco, per me questo è viaggiare”

Lo hai mai pensato o detto ad alta voce? Intendo nel momento in cui stavi vivendo un’esperienza.

Sì… lo so, in ogni viaggio ci sono giornate particolari che rimangono scolpite in noi, ma da qui a riuscire a formulare quella frase ne passa… credimi.

Stai pensando a esperienze adrenaliniche o a grandi meraviglie?

Ti sbagli di grosso… le emozioni non sono legate necessariamente all’adrenalina, al capolavoro o alla bellezza.
Le emozioni in viaggio sono legate spesso e volentieri al silenzio, agli incontri, agli episodi, al nulla.

Oppure a un piccolo paese che non arriva a mille abitanti, nel nord est dell’Azerbaijan.
Un paese scomodo da raggiungere, a circa a 1.400 metri,  un luogo in cui  l’asfalto non arriva nemmeno al centro abitato e le frane, nelle stagione invernale e primaverile, sono frequenti.

Il suo nome – Lahic – è citato in diverse guide, ma alla fine non sono tantissimi i viaggiatori che si spingono fino a qui.

Sì, Lahic è famoso – per quanto possa esserlo un paesino in Azerbaijan – per la lavorazione del rame e qui ho trascorso una domenica, che per noi vuol dire festa, ma quando sei in viaggio non vuol dire nulla e per le 900 anime che abitano un paese di montagna azero e musulmano significa ancora meno.

Cerchi di nascondere il tuo arrivo, di non farti notare, sei vestito in modo anonimo e senza diavolerie particolari addosso ma siamo sinceri: io sono fregato in partenza, anche se nascondessi la macchina fotografica che ho al collo, la carnagione bianca e i capelli biondi mi etichettano come straniero e turista… sempre!

Cominci a passeggiare per queste strade strette e lastricate di pietre sconnesse e quando arriva un’auto devi spostarti e ti chiedi PERCHE’ un’automobile deve passare di lì.

Una delle strade principali di Lahic

Una delle strade principali di Lahic – Foto di Cristiano Guidetti

 

Butti uno sguardo dentro alle botteghe e ti rendi conto che qui gli artigiani non stanno lavorando per i turisti anche se sono sulla via principale del paese, qui lavorano per lavorare, nessuna ricostruzione fasulla.

Un maniscalco – cercalo in Italia e se lo trovi fammi un fischio – picchia forte con il suo martello un pezzo di metallo uscito dalla fornace, è ancora rosso e si piega formando un ferro di cavallo, anzi un ferro per lo zoccolo di un cavallo.

Un maniscalco al lavoro

Un maniscalco al lavoro – Foto di Cristiano Guidetti

 

E’ giornata di incontri, lo si sente nell’aria.

Il primo appena giri l’angolo, ti trovi “faccia a muso” con un mucca, così per strada, e il pensiero che un animale del genere dovrebbe essere su un prato o in una stalla e NON su quella strada ti sfiora appena, alla fine un augurio di buona vita lo si regala anche a te caro ruminante.

Il mio

Il mio “faccia a muso” con una mucca a Lahic – Foto di Cristiano Guidetti

 

Mentre l’ora di pranzo lascia il posto al primo pomeriggio, incroci piccole moschee che si affacciano su piazzette in cui non passa una sola persona e te le immagini al momento della preghiera; sì, ho parlato al plurale, in un micro paese come Lahic ci sono diverse moschee e tu lo accetti come un fatto che non riesci a spiegare.

Una delle moschee di Lahic

Una delle moschee di Lahic – Foto di Cristiano Guidetti

 

A un certo punto il paese finisce, davanti a te il letto di un grande fiume, di acqua nemmeno l’ombra, in questo periodo solo un’immensa sassaia, un po’ di neve rimasta sulle montagne in lontananza, i rami degli alberi che vogliono riportare la vita in questi ultimi gironi di aprile e il nulla cosmico.

Il nulla cosmico alla fine del paese

Il nulla cosmico alla fine del paese – Foto di Cristiano Guidetti

 

E’ ora di tornare “in centro”, hai sempre degli incontri in sospeso.

I bambini, ovvero la semplicità, e per quelli cresciuti in mezzo a questo niente è un accessorio di serie.
Ecco il nuovo incontro, prima con un gruppo di ragazzini, fucili di legno e fionde alla mano, una banda se possiamo definirla in un modo che loro apprezzerebbero.
Due sorrisi, quattro chiacchieri a gesti, qualche foto scattata e poi fatta visionare per “controllo”, una bicicletta sgarruppata che mi riporta indietro di un milione di anni, alla mia di infanzia, che comunque era già più avanti della loro.

Bambini a Lahic

Bambini a Lahic – Foto di Cristiano Guidetti

 

Li lasci e ti imbatti nel secondo gruppo, questa volta hanno un pallone, la lingua universale del gioco.
Tu scatti decine e decine di fotografie mentre loro sono intimoriti e stupiti da una ragazza che vuole insegnare loro a fare finte, dribblare e nascondere la palla all’avversario.
Mi immagino le loro menti spiazzate, che associano questa ragazza alle loro madri o nonne (ma anche sorelle), le hanno sempre viste cucinare, mandare avanti la casa e tener dietro a tutto, ma sicuramente non le hanno mai viste giocare a calcio.

Si insegna il calcio a Lahic

Si insegna il calcio a Lahic – Foto di Cristiano Guidetti

 

Sei già felice così, la famosa frase: “Ecco, per me questo è viaggiare” sta prendendo forma, ma non fa in tempo perchè arriva l’incontro più bello.

Si avvicina un signore sui 60 anni – forse… l’età è indefinita da queste parti – e chiede se hai già da dormire, ogni 20 parole ne infila 3 in inglese ed è lì che tu devi capire e il bello è che capisci sempre.

No, siamo a posto” è la litania che ripeti ma lui insiste, vuole offrirti un chai (un the), e tu da italiano mal fidato anche se racconti di essere un viaggiatore sei certo che vuole solo romperti l’anima per portarti a vedere la sua “accomodation”.

Poi accetti, non sai nemmeno perchè, è un’insistenza diversa e la vuoi assecondare, in fondo a Lahic che cavolo puoi fare se non viverti il luogo e le persone?

E vieni portato nel bar del paese – che sembra più un circolo che un locale pubblico – e ci sono diversi avventori seduti ai tavoli (tutti uomini) intenti a giocare a backgammon.
Ma per qualche secondo sei tu l’attrazione e chi ti ha portato lì dentro è fiero di essere con due stranieri, uno di loro è pure una donna.

Ordina per tutti del chai, da bere alla maniera azera, in bicchierini trasparenti tipo “shot”, non filtrato e se ti piace con una fettina di limone.
Lo zucchero, quello in zollette, lo devi mettere tra i denti e solo dopo aver compiuto questo gesto puoi bere.
Bene… per un singolo bicchiere di chai il lavoro al tuo dentista è garantito per i prossimi 2 anni.

Chai alla maniera azera

Chai alla maniera azera – Foto di Cristiano Guidetti

 

Si prova a chiacchierare, a gesti e infilando qualche parola inglese tra le più comuni ma lui ogni 2 minuti chiede se parliamo russo, come se nei 120 secondi trascorsi avessi contattato il mio operatore fuori Matrix e lui mi avesse inviato un corso di russo direttamente nel cervello. (Mi scuso per la citazione cinefila di bassa lega)

Poi succede qualcosa, una discussione animata tra locali qualche porta più in là, si conoscono tutti e lui deve andare, deve VEDERE cosa sta succedendo, non siamo più l’attrazione principale; si assicura con il “barista” in modo da non farci pagare e ci saluta sorridendo a 7 denti, non di più, però almeno 3 sono d’oro.

Finisci il tuo chai e avviandoti verso la guesthouse sei felice, quella frase ce l’hai stampata in faccia:

“Ecco, per me questo è viaggiare”.

Un saluto,
Cristiano