Baobab, Botswana

Baobab, Botswana – Foto di Silvia Balcarini

C’era una volta, una terra fertile, selvaggia, madre.

Un paese lontano-lontano che racchiude un viaggio di tanti anni fa.

Si può respirare l’Africa in tutto il continente africano ma in ogni landa inali una miscela differente di ossigeno e anidride carbonica.

Ho percorso la Namibia, ho fatto capolino in Zimbabwe e in Zambia, ho messo i piedi nella striscia del Caprivi, sono rientrata nel famoso Sudafrica puntando verso lo Swaziland.

Tempi e storie diverse, immagini differenti.

Come la volta del Botswana, l’approdo all’Africa Barocca.

Qui è tutto abbondante e generoso. La sensazione è che la Natura, non solo sia racchiusa in una sola pagina ma che quest’ultima non trovi spazio per stendersi, ti ritrovi così tutte quelle grinze, le pieghe, gli avvallamenti. Tutto appiccicato, tutti gli elementi compressi.

L’ho percorsa in lungo ed in largo questa Botswana, tre settimane di spostamenti difficoltosi per la viabilità, la percorribilità stradale, la segnaletica praticamente inesistente.

Questa boccata d’aria africana ti fa tirar fuori l’istinto, le paure primordiali, ti incute timore e pretende rispetto. Bevi quel miscuglio di terra che oramai non ti appartiene, ne è il tuo contrario, ma che aprendoti le pupille risveglia qualche molecola di DNA. Salgono le sensazioni e con esse l’impressione di essere un esploratore o peggio un conquistatore.

Certe abitudini sono dure a morire o forse sono solo genetiche!

È qui l’enorme delta del fiume Okavango l’unico a sfociare nel deserto. Se lo guardi dall’alto è così ramificato da poter essere paragonato al nostro sistema linfatico. Una roba così pazza che può esistere solo in un posto, la Terra. Non lo dimenticare il Delta dell’Okavango, inseriscilo nella tua mente, perché insieme alla Foresta Amazzonica, ad esempio, fa parte degli organi della Terra che ci permettono a tutti, comunque, di sopravvivere.

Il Delta dell’Okavango è cosa nostra, speriamo che diventi, prima che sia troppo tardi Patrimonio dell’Umanità.

Il Makgadikgadi Pans con le sue distese di sale che percorri in quad divertendoti ed accecandoti. Il più grande sistema di saline al mondo. Il nulla infinito in versione bianca. Ti manda in pappa i punti cardinali e tutto il cucuzzaro. Non può non attrarre.

Anche qui tutto s’intreccia con tutto, le saline con il deserto e la savana con i baobab.

La zona di Baines Baobab, il famoso Chapman´s Baobab, il Greens Baobab (25 metri di circonferenza), alberi che sono qui da 4000 anni. I fusti a me ricordano lo zenzero, per colore e consistenza tattile. Ma osservandoli per intero mi evocano ancora l’immagine della circolazione sanguigna, arterie, vene e capillari escono possenti dal terreno. Ogni parte di esso ha un valore nutritivo per uomini e animali.

Il Kalahari: dune, parchi nazionali, riserve, l’area protetta più estesa del continente che si estende oltre i confini di ben 7 nazioni.

Le sponde del fiume Chobe e una savana così piatta da dare la sensazione di avere un occhio bionico: l’orizzonte appare così lontano che, esso stesso, è al contempo prospettiva e suggestione.

Questa terra sarebbe di proprietà dei vari gruppi etnici tra cui i San, ma quando mai questo succede in Africa? L’indipendenza è datata solo 1966. Europei coloni che adesso si chiamano finanziatori, terre tolte, gente obbligata a spostarsi altrove, diamanti: i personaggi cambiano ma la storia è la stessa e viene ogni giorno ripetuta.
I San hanno bocche e nasi pacatamente africani con occhi leggermente asiatici e le forme del viso caucasiche. Il risultato è un viso dolce e rassicurante.

Una signora Sun, in Botswana

Una signora Sun, in Botswana – Foto di Silvia Balcarini

Qui entrare in un villaggio non ha ancora nulla a che fare con il turismo. Per adesso lo definirei uno sfioro antropologico.

Un fuoco all’aperto, una grande padella girata con un attrezzo ricreato manualmente con delle spille da balia. Il pranzo è a base di spinaci terrosi, bachi del Mopane arrostiti e una sorta di bevanda chiara con dei semi all’interno e un retrogusto di acciuga. Nessuno si permette di far boccacce o di scherzare, ci sforziamo tutti di finire la minuscola porzione che abbiamo nel piatto ringraziando la dolce signora che oltre a badare al nipotino, mentre la figlia lavora in città e ritorna al villaggio solo qualche volta, ci regala un sorriso buono.

Sono contenta dei miei compagni di viaggio, oltre noi tutti stranieri. Silenzio e rispetto, le valutazioni sono superflue.

Un’eresia tralasciare le Cascate Vittoria. Viste da che lato? Io ho amato di più quello dello Zimbabwe, un percorso facile ed estremamente panoramico. Ma l’estasi arriva soltanto dal cielo. Metti da parte il denaro che occorre per un giro in elicottero, in ultraleggero o con qualsiasi altro trabiccolo con le ali.

Cascate Victoria

Cascate Victoria – Foto di Silvia Balcarini

Rinunciare è imperdonabile.

Ti sei accorto che ancora non ti ho parlato di animali?

Articolo di
Silvia Balcarini