Bandiera del Friuli, Rifugio Lambertenghi Romanin, Forni Avoltri

Bandiera del Friuli, Rifugio Lambertenghi Romanin, Forni Avoltri – Foto di Valentina Cipolat Mis

Conosco poco la mia regione, il Friuli.

È una terra particolare, dove non si scorgono subito i colli ondulati delle zone più a sud, e nemmeno i sorrisi aperti di latitudini più calde.
È una regione timida, che se ne sta per le sue, quasi remota, ai confini dell’Italia. La riservatezza della sua gente deriva forse dalle tante invasioni che hanno lasciato il segno, o forse, perché qui ci sono tanti monti, tanti luoghi dove starsene per conto proprio e si preferisce il silenzio della natura alle tante chiacchiere.

Una regione, il Friuli, che è come una donna poco appariscente, di cui ti innamori poco a poco. Le distanze qui sono piccole ma è come se in un’unica regione esistessero più territori, ognuno con le sue lingue e le sue abitudini, alle volte completamente diverse le une dalle altre.

Questa volta, vado alla scoperta della Carnia.

Poco prima di partire mi era capitato tra le mani, per caso – anche se al caso non credo – un romanzo ambientato in questa regione montuosa, in cui si faceva riferimento ai Celti. La Carnia è un territorio antico. Antiche sono le sue rocce, che attirano geologhi da tutto il mondo, e appartengono a epoche in cui le vette dei monti erano barriere coralline e non esistevano nemmeno i dinosauri. La sua antichità è però anche legata a tutte quelle popolazioni che prima dei Romani entrarono dai passi sulle Alpi Carniche e si stanziarono qui con le loro usanze e le loro credenze.

I Celti sono il popolo più famoso, le loro tracce si trovano ancora in tutti quei paesi che terminano in -icco o -acco, ma anche in tanti riti che hanno a che vedere con l’accensione del fuoco in periodi particolari dell’anno, come i falò delle femenate, in cui un fantoccio di vecchia viene incendiato nella notte del 5 gennaio. Questi rituali servivano a scacciare gli influssi negativi e invocare il favore delle divinità della natura.

Bosco nei dintorni di Forni Avoltri

Bosco nei dintorni di Forni Avoltri – Foto di Valentina Cipolat Mis

Nonostante i secoli, la cristianizzazione e l’epoca moderna con la sua perdita di fantasia, la Carnia sembra conservare ancora quest’aura di magia, forse perché vive ai margini dell’economia della pianura che tutto cancella, forse perché la natura qui è ancora così imponente.

Il viaggiatore non viene qui a cercare il divertimento delle località marine, l’atmosfera caotica e allegra delle grandi città, la Carnia è una meta per chi cerca il riposo, per chi vuole staccare dal mondo. Bastano pochi km e subito la pianura viene circondata da una schiera di monti che si fanno sempre più grandi. Ai lati della strada scorrono i campi coltivati e gli occhi cadono su uno degli emblemi della tradizione agricola friulana, il morer o morar, il gelso, che come una mano esce dalla terra e ora, in primavera, si riempie di dita verdi che cercano il cielo. Tra i campi, piccoli paesi che cominciano a salire sulle colline del Medio Friuli e i campanili con le torri quadrate, il cui sfondo sono le prealpi.

Il

Il “fogolar”, il focolare, simbolo della tradizione carnica. Su di un muro di Givigliana, frazione di Rigolato – Luca Vivan

Dopo Tolmezzo si entra nella Val Degano e il mio telefono di colpo perde la connessione dati, lo prendo come un segno. Qui è meglio staccare, meglio godersi il mondo al di fuori dallo schermo.

Nel giorno che si fa notte, tra curve che si piegano su boschi e qualche paese poco illuminato, arrivo a Forni Avoltri, il comune più a nord della Carnia, a confine con l’Austria e il Veneto.

Vista di Collina, frazione di Forni Avoltri

Vista di Collina, frazione di Forni Avoltri – Luca Vivan

Dalla mia stanza in albergo osservo la nebbia che disegna il paesaggio, coprendo e scoprendo porzioni di montagne, annuso l’aria che sa di legna, dei camini e delle stufe ad olle ancora accese, colgo qualche luce di una presenza umana discreta, in un mondo di faggi e pini, di prati e ruscelli, dove mi immagino scorazzare qualche sbilf, un folletto dei boschi come viene chiamato qui, un essere che sa mimetizzarsi molto bene, tanto che solo i bambini e le persone pure di cuore lo possono trovare. Anche questo è un simbolo di un mondo antico, che si basava sul rispetto dell’uomo verso la natura.

Strada tra i boschi che sembra non condurre a nulla; Collina, frazione di Forni Avoltri

Strada tra i boschi che sembra non condurre a nulla; Collina, frazione di Forni Avoltri – Luca Vivan

Mi auguro che il turismo qui riparta da questo legame con l’ambiente, perché ci sono sempre più viaggiatori che cercano luoghi come questi che non hanno nulla da offrire, se non la natura che li accoglie e le tradizioni che permeano questi spazi di silenzio.

Lascio che la nebbia ricopra la vallata, ti racconterò ancora della Carnia, prossimamente.

Articolo di
Luca Vivan