Trasporti pericolosi

Trasporti pericolosi

Chiudi gli occhi e pronuncia: “ Viaggio ”.

La parola emana una sensazione di libertà.

Solo se si è liberi si può viaggiare e solo se si viaggia lo si può diventare.

La parola libertà ha dentro di se un significato principale ben più profondo e rispettoso ma è pervasa da una serie di strati che lo completano e lo rendono spesso di difficile spiegazione. Il viaggio in sé contiene quello strato di immediata libertà in quanto ti preleva da una routine conosciuta e dettata e ti immette su una linea nuova dove tutto è nuovo e da scoprire. Devi fare per forza i conti con te stesso e con il resto.

Ti senti un po’ come il personaggio in quel vecchio cartone animato chiamato appunto La Linea, lo ricordi?

Ed ecco che ti ritrovi a provare, scoprire, a essere diverso, a volte anche un po’ stupido.
Sì confessiamolo. In viaggio lo siamo sempre almeno un poco o lo siamo stati almeno una volta.
Intanto è perché nessuno ci conosce, via i freni inibitori, le convenzioni sociali, per qualche giorno possiamo uscire fuori dalle omologazioni basate su lavoro, stipendio, istruzione, sesso.

Il viaggiatore lascia a casa molti dei sensi di colpa, qualunque cosa questo voglia dire, che sia dormire all’aperto, tralasciare l’igiene personale, concedersi azioni fuori dalla norma. Ma chi è che abitualmente interagisce così velocemente con uno sconosciuto?

A me è perfino capitato di dormire a casa di un’estranea dopo aver perso un aereo!

Hai presente quando scegli quel mezzo di trasporto vecchio, chiassoso, che mai passerebbe la più semplice revisione? Oppure quando sali su quel camion insieme ad altre decine di persone che trasportano di tutto e sai, che al più piccolo incidente non avrai grandi chance. Ed è proprio con quel mezzo, preso di tua spontanea volontà, che passerai, sballottato in ogni verso e senza alcuna protezione, su quella tratta stradale così pericolosa, per le curve, gli strapiombi, le buche. Conscio della guida spericolata contratti per un Tuk tuk, un collettivo, o un’altra diavoleria meccanica.

Come definire il noleggio di un’auto in un luogo dove sai per certo che verrai fermato dalla polizia, che cercherà di sequestrarti il passaporto, oppure di contestarti la pressione di una ruota o la validità della tua patente per avere in cambio una decina di dollari.

E come puoi raccontare a casa, prima nelle sporadiche telefonate interurbane e adesso nei messaggini, quello che stai mangiando, delle stoviglie tenute solamente a bagno per un minuto in una enorme catinella, poi riprese, mal asciugate e portate al tuo tavolo?

Come puoi confessare che alla fine una diarrea è la cosa migliore che possa capitarti?

Per giunta ti ritrovi alla stessa tavola con chi ha meno da mangiare di te, ti sta offrendo il meglio che ha mentre tu vorresti scappare più lontano possibile appena vedi le pietanze e ancor di più appena il primo boccone scende giù per gola.

Tutte decisioni avventate o normalmente appellate come stupide. Ed è sempre “quella volta”… Quando racconti, quando ti ricordi, quando ti riguardi.

Eccola, quando sono salita su quel velivolo diretto a Gran Roque (il primo incidente aereo era già avvenuto) e l’ho fatto pochi minuti dopo che un commando militare è entrato, in stile film americano, dentro la stanza di attesa dell’aeroporto, probabilmente scortava un narcotrafficante!

Oppure mentre seguo per i vicoli di un suk un ragazzo appena incontrato solo perché mi ha garantito di possedere la più ampia scelta di lampade, potrebbe portarmi chissà dove, potrebbe succedere qualsiasi cosa e chissà dopo quanto verrei ritrovata!

Ancora adesso rido a denti stretti ripensando a quel volo in piper, che odio a prescindere, con un pilota che solo poche ore prima si era scolato diverse birre e uno scotch whisky. Cavolo, avrei dovuto berlo io!

E che dire di quando mi sono asciutta con l’asciugamano della pensione a Varanasi, era di un bel color nocciola a pois perché lavato nel Gange.

Azioni stupide, facenti parte del meccanismo “Se mi vedesse mamma” e del “Se mi succede qualcosa qualcuno dirà che me la sono cercata”.

Eppure quando un viaggiatore sta raccontando di quella volta che poteva lasciarsi l’osso del collo tu sei pronto a sfoderare tutte le tue armi dialettiche per difenderlo e perpetrare la sua causa con chi la trova soltanto una scelleratezza. Perché la stupidità del viaggiatore va difesa e tutelata. È una legge non scritta ma condivisa dal clan. Una sorta di solidarietà del viaggiatore.

E vallo a spiegare che è per quell’attimo di stordimento che ti assale lo stomaco quando osservi l’Africa dall’alto, che ti prende il cuore quando osservi le cerimonie sui ghat, ti accende la testa quando chi ti siede vicino ti chiede da dove vieni e dove stai andando.

Dai non serve altro. Tra di noi ci siamo capiti.

Articolo di
Silvia Balcarini