Una delle immagini simbolo di Hué

Una delle immagini simbolo di Hué – Foto di Silvia Balcarini

Hué è una città che appare subito più turistica rispetto ad Hanoi. È separata dal fiume dei Profumi ma non ti consiglio il giro in barca bensì una passeggiata a piedi lungo fiume, Le Loi, guardando la scuola superiore e tutti gli edifici europei oggi diventanti hotel.

Gironzola nel mercato di Dong Ba (solo al pian terreno, sopra sono tutte cianfrusaglie), o come dicono anche i vietnamiti per indicare merce di scarsa qualità, cineserie! Attento, chiedono uno sproposito per qualsiasi prodotto come la frutta, i dolcetti, confronta e contratta prima di acquistare altrimenti se la rideranno a crepapelle! Il mercato puoi raggiungerlo a piedi attraversando il ponte Truong Tien ex Clemanceau costruito da Eiffel, di notte illuminato, oppure velocemente con la barca (Sampan), attraversando il fiume.

Non dimenticarti di mangiare a pranzo la zuppa di Huè il Bun Bo in 11b Ly Thuong Kiet. Non devi ordinare, servono solo quella; l’odore forte della zuppa riempie il locale aperto sulla strada, coraggio, assaggia, persino il brodo è saporito, difficile invece mangiare i pezzi di carne con grasso senza coltello!

D’obbligo una sosta notturna in uno dei localini a sud del fiume (56 nguyen tra Nguyen lo Trach e Duong Van An), nel pomeriggio o in serata fermati in panetteria, acquista un dolce in pasticceria, oppure mettiti a sedere su una mini seduta in una delle tante caffetterie dove i ragazzi del posto giocano a carte, a dama cinese, bevono una birra o un caffè freddo, buonissimo. Il rettangolo a sud dell’imbarcadero offre posticini vivi, autentici ma moderni.

A cena vai da Hanh in 11 Phu Duc Chinh potrai degustare in una sola volta tutte le specialità di queste parti, buone fresche e il servizio è curato e l’accoglienza sorridente e familiare.

Huè è la sua cittadella che, ci fa rima, è una caramella! Colorata, ben tenuta, fiorita, si passeggia volentieri, gli scatti incoraggiano a farne altri, ho incontrato un solo gruppo di vietnamiti in gita, quindi l’atmosfera è stata rilassante. Come di consueto è divisa in 3 parti: la città, la città imperiale e quella proibita con i giardini; sarà quindi una bella camminata.

La Cittadella di Hué

La Cittadella di Hué – Foto di Silvia Balcarini

Non posso dire lo stesso della breve sosta al monumento dei caduti; Huè infatti è stata teatro di un’aspra battaglia durante la guerra con gli americani.

Si commenta da sola…

Si commenta da sola… – Foto di Silvia Balcarini

Ovviamente non mi ha colpito il monumento in sé e nemmeno il gruppo di ex combattenti in visita, una vista per me familiare, bensì il piccolo museo con le foto dei combattenti, sia essi militari, civili, donne. Impressionante vederli sorridere alla macchina o tra di loro, fotografie ovviamente recenti, per niente sfuocate, differenti dalle nostre che hanno oramai sfuocato anche un po’ le nostre memorie sull’argomento.

Visi incomprensibilmente sorridenti

Visi incomprensibilmente sorridenti – Foto di Silvia Balcarini

Particolare invece la pagoda della Signora Celeste (Thien Mu), specie veduta dalla strada essendo molto alta e di forma ottagonale a sette livelli. Peccato che anche qui si parli di distruzione e ricostruzione completa post-bellica.

Pagoda della Signora Celeste (Thien Mu)

Pagoda della Signora Celeste (Thien Mu) – Foto di Silvia Balcarini

Ho visitato anche la tomba di Tu Duc, un autentico palazzo, utilizzato infatti durante l’estate dal sovrano della celebre dinastia Nguyen; scenica l’ampia area sul lago e quella appena sopra con le statue di guardia. Peccato che qua e là i restauri a mano tedesca non siano perfetti, a mio parere. L’ambiente dispersivo, la poca gente e la natura lo rendono un luogo di quiete.

Tomba di Tu Duc

Tomba di Tu Duc – Foto di Silvia Balcarini

È un dispiacere però constatare che i vietnamiti non conoscono più gli ideogrammi nonostante siano permeati di architetture, opere cinesi.

Hué merita più giorni, il primo per visitarla, il secondo per capirla, il terzo per affezionarsi. Cibo genuino, localini, movimento, traffico modesto.

Approfittando dei prezzi abbordabili ho provato un massaggio facciale: un’ora per 7 euro. L’ambiente pulito e i sorrisi mi hanno incoraggiata, e come sempre è stata un’esperienza. Al piano superiore si accede senza scarpe in una grande stanza con 5 lettini, aria condizionata e musica rilassante; peccato il continuo bisbigliare delle estetiste che, anche se con voce soave ma continua sono diventate poi moleste. Asciugamano pulito per sopra il lettino e il cuscino, tutti insieme nella stessa stanza, uomo compreso.

Funziona così: mi hanno struccata con la salvietta umida, applicato una crema, poi il peeling e fin qui… Da manuale.

Il bello inizia con l’olio per massaggi, il movimento è lento, continuo, decontratturante sul collo e rilassante sul viso; stavo per addormentarmi quando inizia la digito pressione. Eccola che preme, preme, preme: viso, orecchi, testa. Oioi! Sembra impossibile che delle piccole mani appartenenti a donne così esili abbiamo una tale forza per un così tempo prolungato; poi arriva un arnese, una macchinetta fatta a pila accesa, di colore rosso, che produce vibrazioni come se avessi appoggiato il viso su una poltrona massaggiante; poi il vapore, come d’abitudine. Ma ecco apparire un altro arnese sconosciuto, è un mini aspiratore, ha la bocca grande come un mignolo, tira su, qua e là, la pelle del mio viso, mah. Sul finale maschera di fango, doppia: di colore bianco e rosa, vengono mischiati e stesi. Nell’attesa che si asciughi penso di poter prender sonno, le sue mani sono sul mio capo, che bello un bel massaggio al cuoio capelluto, penso. L’inizio è ottimo ma subito dopo la digito pressione ritorna (sìì ancora lei), solo per poco però, poi una strana sensazione. Sta prendendo delle ciocche le arrotola sul suo dito e… Le tira. Mi sta tirando i capelli!

Le cose cambiano…

Le cose cambiano… – Foto di Silvia Balcarini

Oramai è un contraddistinguo dei vietnamiti, un popolo servizievole e silenzioso che riesce in realtà a capirsi bisbigliando e a tenerti in pugno con due dita.

Articolo di
Silvia Balcarini