Sorrisi

Sorrisi – Foto di Silvia Balcarini

Non di vista ma di cuore.

È il mio slogan per questo viaggio in Vietnam e in Cambogia.

Dappertutto le etnie minori suscitano curiosità ed interesse da parte dei viaggiatori che si preparano ogni volta e sempre di più a macinare chilometri e a salire più in alto pur di trovarne sempre di più autentiche.

È un’occasione che non la si può lasciare andare, ovunque ci si trovi. Non c’è che dire, è un carnoso pasto per gli affamati viaggiatori!

Spesso rappresenta un’escursione faticosa ma soprattutto cara tanto da lievitare improvvisamente il budget deciso in precedenza. Spesso questo dipende dalla lontananza dalle grandi città, i mezzi privati e più costosi per ivi raggiungerli o dai limitati alloggi che diventano di per sé cari.

Il primo consiglio che sento di darti è quello di non rinunciarvi; piuttosto depenna un’altra parte del tour anche se riguardante una località così famosa da apparire in ogni pubblicazione trovata.

Intorno a questo gira tutto il resto. In che senso?

Data l’importanza e il costo organizzala già da casa, decidi tu dove vuoi andare, quanto fermarti; di conseguenza devi leggere qualcosa a tal proposito e non fidarti solamente delle guide cartacee (e famose) che tendono a riportare sempre gli stessi itinerari e con le stesse tempistiche. Contatta qualche agenzia locale, meglio se nelle vicinanze o che in questo è più specializzata; in genere lo sono quelle che si riferiscono all’ecoturismo, homestay, viaggiatori zaino in spalla, trekking e a volte anche al volontariato.

E anche qui in Vietnam l’offerta è alta e sembra in continua crescita.

Come già detto, più questi gruppi abitano in zone remote, meno sono aperti al turismo e più sono genuini. Questo non vuol dire che devi per forza barcamenarti per raggiungere chissà quale posto. Anzi. Spesso quelle più turistici sono strutturati esteticamente meglio; ossia si è sicuri che tutti indossino gli abiti tradizionali, che vengano presentati balli o riti anche se non è periodo, che l’escursione sia più strutturata, il servizio al turista più curato e pulito. D’altro canto significa anche: trovarsi di fronte numerosi venditori, persone che chiedono una mancia per essere fotografate, file di bancarelle ad ogni sguardo. In questo caso cerca di allungare la tua permanenza perché in genere i turisti dei grandi tour operator se ne vanno tutti alla stessa ora o dormono nello stesso villaggio. Così avrai modo non solo di vedere lo stesso luogo e le stesse persone sotto un’altra luce, ma anche di non essere più il bersaglio per qualunque vendita e di goderti quello che non era stato possibile vedere fino ad un’ora prima.

Palafitta vietnamita

Palafitta vietnamita – Foto di Silvia Balcarini

La zona di Sapa fa da padrone, le foto di un mercato, per sua natura già colorato, colmo di gente vestita con abiti variopinti appaiono dappertutto e suscitano effetto. Ci sono i mercati del sabato e della domenica (Can Cau e Bac Ha); trattieniti qualche giorno camminando tra un villaggio e l’altro, delle minoranze Hmong, Tay e Dao, dormi nelle loro case a palafitta. Puoi spingerti ad altri mercati ancor meno frequentati oppure aggiungendo ancora dei giorni e aggiungere anche diverse cascate presenti a Ba Be, di Caobang, Pac Bo fino ad arrivare a quelle di Ban Gioc al confine con la Cina: dalle immagini sembrano una meraviglia.

L’altra zona pubblicizzata in ogni dove è Mau Chau, senz’altro più alla portata di tutti, facilmente raggiungibile da Hanoi e abitata dai Thai bianchi e facendo tappa in strada a Ban Lac, una comunità di Thai bianchi oppure spingendosi oltre Mau Chau verso Son La a Ban Mong.

Un’ulteriore possibilità, abbandonando il Nord e partendo invece da Pleiku negli altopiani centrali è di far visita ai villaggi Jarai e Bahnar fino ad arrivare a Kontum scoprendo questi gruppi etnici matriarcali.

Oppure posso raccontarti la mia esperienza, in una zona non lontana da Hanoi che si apre ora al turismo. Si trova nella provincia di Hoa Binh, nella riserva di Ngoc Son raggiungendo i villaggi Mu, Chieng, Sat.

Portati con te lo stretto necessario ma non dimenticarti: un pile e un Kway (sempre loro…) perché può far freddo, un pigiama per la notte, un asciugamano, carta igienica (che in genere c’è). Se puoi organizzati con un sacchetto e riporta in città i rifiuti che produci, ti renderai conto di quanto siano in un paio di giorni, rispetto ai loro. Ovviamente ci ha accompagnato una guida e una ragazza del posto che conosceva i sentieri.

Ho trascorso due notti in due villaggi differenti. Abbiamo lasciato l’auto che ci ha accompagnato in un villaggio Chieng, collegato con le strade principali. Dopo il pranzo al Mountain Flower Homestay ci siamo incamminati a piedi per 10 km, e altri 10 li abbiamo percorsi il giorno successivo. Per il cammino occorre solamente avere i piedi, si attraversano ampie strade di comunicazione sterrate e sassose, qualche volta si entra in piccoli passaggi nella giungla ma niente di avventuroso o scomodo.

Quello che vedrai dipende dagli occhi con cui guardi, se non ti rilassi e non rallenti, rischi di non vedere niente. Non camminare per andare da qualche parte; non arriverai a nessuna meta, parti dal presupposto che sei già arrivato, non resterà che osservare i dettagli; sentiti libero, rilassato e incuriosito, arriveranno le farfalle multicolore, le piante sconosciute, le libellule rosse, la frutta, le persone che ti fotografano, i coni che si alzano e ti salutano dalle risaie, le ragazze, gli anziani, i bambini, gli animali. Meno male che ciao si pronuncia “Sinciao”.

Lavoro nelle risaie

Lavoro nelle risaie – Foto di Silvia Balcarini

Qui le famiglie ancora non conoscono una parola d’inglese, ad ogni tuo accenno rispondono con dei sorrisi. Specie nella prima casa siamo stati accolti con una caraffa di acqua, credo di fiume, dei bicchieri “colorati” e delle noccioline fresche. Il bagno era unico e la “doccia” con catino e brocca, le donne ti scalderanno l’acqua sul fuoco. Si dorme tutti insieme nella grande palafitta con un materassino posato in terra, una specie di piumone e un cuscino alto come una lastra, il tutto circondato da una bella zanzariera.

Doccia e lavandino

Doccia e lavandino – Foto di Silvia Balcarini

Il cibo è buonissimo, tutto è fatto in casa, dai noodles alle verdure di campo lessate, stufate, il pollo, le uova fritte, ovviamente il riso. Anche la colazione è a base di noodles con uova, pollo e verdurine; tutto è presentato nei piattini, ti servi con le bacchette mettendo il tutto nella tua ciotola, le porzioni sono abbondanti. Le bevande sono a parte e in genere è presente la bibita globalizzante marrone e la birra. Se non ne hanno in quantità sufficiente si faranno in quattro per andartele a cercare nei villaggi vicini.

Colazione in homestay

Colazione in homestay – Foto di Silvia Balcarini

Le donne sono indaffarate dalle prime ore del mattino nei lavori di casa e nel prepararci le numerose pietanze che coloreranno la nostra mensa. Nella prima homestay non abbiamo avuto nemmeno contatto con loro.

La seconda notte invece la trascorriamo in casa del vicesindaco del villaggio. La palafitta è molto bella e rifinita, tirata a lucido, più grande. Si può osservare la cucina, c’è una doccia all’aperto ma oramai abbiamo preso confidenza con il secchio, il catino e la caraffa.

Nel villaggio tutti sono indaffarati, ti osservano con curiosi sguardi allegri, una signora si stende il vestito, vuole apparire al meglio in foto. C’è chi carica il motorino, chi scarica il foraggio per gli animali, i bambini che scappano dentro l’asilo perché li abbiamo impauriti. Ci si ferma nei “negozi” per mangiare qualcosa o semplicemente per chiacchierare un po’, il tè è sempre offerto e può essere un infuso di radici o piante selvatiche senza zucchero. Il sapore non è dei migliori e viene utilizzata sempre la stessa coppetta che poi, dopo il tuo sorso, verrà riposta a capo all’ingiù vicino alla teiera. Meno male che le coppette sono mignon.

La guida ci spiega che questo tipo di turismo, almeno per adesso, non snatura le attività primarie dei villaggi, come l’allevamento e l’agricoltura, né le loro vite, permette invece agli uomini di rimanere a casa invece di avventurarsi nelle città per qualche lavoro saltuario.

I 20 km per tornare al punto di partenza li abbiamo fatti a bordo di scooter guidati da ragazzi. Sono stati bravissimi nell’affrontare il percorso sconnesso, curvo, pietroso. Una delle esperienze più divertenti della mia vita.

Nei villaggi dove sono stata ospite ci si sveglia all’alba e ci si corica poco dopo il tramonto; si sente il gallo, un nitrito e il pianto logorante di un maiale che non dimenticherò. Questa esperienza vista in foto piace a tutti ma non è adatta a tutti. Ci vuole una buona dose di adattamento e quando questo vacilla va tenuto nascosto portando rispetto. Si finisce quello che si ha nel piatto, non si spreca l’acqua, si accetta quello che viene offerto, si guarda negli occhi la cena che tra poco mangerai. Un piccolo allenamento che torna utile anche tornati a casa.

Fauna

Fauna – Foto di Silvia Balcarini

Articolo di
Silvia Balcarini