Foto di Simona Marsella, mercato di Diboli

Ti avevo lasciato in Senegal.

Dopo aver forato una gomma sulla pista per uscire dal parco di Niokolo Koba tra antilopi, babbuini e facoceri ci dirigiamo verso la frontiera per il Mali.

Raggiungiamo Kidira, ultima città al confine fra i due stati, che ormai è già buio, così rimandiamo il passaggio al giorno successivo.

Purtroppo però scopriamo che non ci sono hotel: dobbiamo accontentarci di una stanza piccola e molto calda da condividere in quattro, affittataci per la notte ad un prezzo non proprio economico da un funzionario a cui abbiamo chiesto informazioni.

Dopo una notte terribile, probabilmente la peggiore di tutto il viaggio, nelle prime ore del mattino ci apprestiamo ad entrare in Mali, o almeno queste sono le nostre intenzioni.

A parte la difficoltà nel trovare l’ufficio della dogana nascosto in una stradina polverosa, incredibilmente in meno di 15 minuti riusciamo a sbrigare tutte le pratiche per lasciare il Senegal.

Piacevolmente sorpresi ed ottimisti ci avviciniamo alla frontiera.

Per entrare in questo paese è necessario avere il passaporto in corso di validità per almeno 6 mesi e il visto d’ingresso: per evitare inutili attese ti consiglio di procurartelo prima di partire richiedendolo all’ambasciata presente a Roma oppure se preferisci rivolgendoti ad un’agenzia di viaggio.

E’ anche obbligatoria la vaccinazione contro la febbre gialla, perciò non dimenticare di portare con te il libretto giallo con la certificazione.

Arrivando in automobile è sufficiente la patente italiana per guidare, mentre l’assicurazione è possibile farla in loco ad un importo esiguo.

Nello spazio antistante gli uffici della dogana diversi funzionari sorseggiano il tè conversando piacevolmente, mentre un solo uomo si occupa con molta calma dei documenti.

Consegniamo i passaporti e tutto il resto, compreso il lasciapassare per l’automobile fornitoci prima della partenza dall’associazione Partenza Intelligente, necessario per l’importazione temporanea del veicolo e quindi per poi poter uscire dal paese senza l’autovettura che lasceremo in beneficenza a Bamako.

Dopo più di un’ora di attesa arriva la terribile notizia: il nostro lasciapassare non è valido e non è possibile entrare nel paese.

Da qui inizia la nostra disavventura nonché lunga agonia.

Rimaniamo infatti prigionieri in questa terra di mezzo per ben 12 ore: siamo raggiunti dai ragazzi della onlus Abarekà Nandree, venuti a Diboli proprio per accoglierci e facilitarci l’ingresso ma purtroppo la situazione peggiora.

Aspettiamo ininterrottamente l’intervento di un fantomatico funzionario che non arriva mai.

Le ore passano sotto un caldo asfissiante.

Per ingannare il tempo ci addentriamo nel mercato locale: ci sono principalmente donne che vendono frutta, verdura e altri prodotti su teli o bancarelle improvvisate e tutto questo, nonostante la povertà evidente, in un clima allegro e gioviale.

Pranziamo in una sorta di capanna dove una ragazza con la figlia neonata legata sulle spalle ci serve in delle ciotole colorate riso al sugo d’agnello e alla salsa di arachidi: eccezionalmente per noi stranieri ci vengono fornite le posate e acqua in bottiglia.

Visitiamo anche Radio Faleme, una radio sociale che dalla frontiera trasmette in Senegal, Mauritania e Mali con l’intento di unire le culture: veniamo accolte come vip e ci richiedono anche un’intervista.


Foto di Simona Marsella, Radio Faleme

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Nel frattempo è arrivata la sera, l’ufficio ha chiuso e noi siamo ancora bloccati: che fare?

Grazie al suggerimento di alcuni turisti norvegesi riusciamo a trovare un altro posto di polizia dove fanno transitare senza lasciapassare.

Sembra incredibile ma dopo 12 ore siamo finalmente in Mali, nel cuore dell’Africa nera.

Le strade sono disastrate e di notte è difficile schivare le enormi buche; oltretutto ti ricordo che è altamente sconsigliato viaggiare di notte per evitare bande di briganti armati che a volte si aggirano per il paese.

E’ proprio su queste strade che nel dicembre 2009 sono stati rapiti due italiani, per questo ci fermiamo alla prima città che incontriamo, Kayes.

Situata sulla ferrovia Dakar-Niger, questa città è un importante nodo per i  trasporti e per il commercio.

E’ circondata da montagne, peraltro ricche di ferro, e per questo è una delle città più calde dell’Africa.

700 km ci separano dalla destinazione finale, Bamako, ma le sorprese non sono ancora finite.

Dopo 200 km di rally tra le buche e deviazioni sullo sterrato, con tanto di pit-stop per alcuni problemi meccanici ad una vettura che viaggia con noi, ci fermano di nuovo a Diema.


Foto di Simona Marsella, pit-stop sulle strade maliane

Sottoposti ad un controllo doganale non vogliono farci continuare in quanto sprovvisti del famoso lasciapassare turistico per la macchina: iniziano di nuovo lunghe ed estenuanti trattative e dopo solamente 3 ore capiamo che l’unico modo è andare in frontiera a fare il documento richiesto.

Sembra che quella al confine con la Mauritania, Niouboro, sia più vicina, a “soli” 40 km: le autovetture accompagnate da un funzionario si mettono in marcia.

In realtà i chilometri sono 100 e tra andata, ritorno e il tempo per fare i documenti vanno via altre 3 ore, ma finalmente abbiamo tutto in regola e possiamo raggiungere la capitale, dove ci aspettano gli altri.

Abbiamo imparato a nostre spese che il concetto di tempo e distanza in Africa è molto relativo, ma loro non hanno mai fretta.

Più volte ci hanno ripetuto:

“In Africa non abbiamo soldi, non abbiamo acqua, non abbiamo cose. Però abbiamo tanto tempo!”

Simona